venerdì 3 giugno 2011

Ta'm e guilass


‘Cara, io ho volato, vieni.
Sono caduto nel giardino dell’amico, vieni.
Fratello dei giorni felici. Solo in una giornata nera, vieni.
Ora io sono un estraneo e tu pure un estraneo. Se vai ti saró amico e, se resti, ti saró amico lo stesso. In ogni caso io ti sono amico. Se rimani ti sono amico e se vai ti sono amico. Ti sono amico.’

Adoro il cinema iraniano. Da anni ormai. Lento, quasi neorealistico, da un punto di vista tecnico e formale molto povero e privo di elementi innovatori. Di poche parole, con una fotografia netta, decisa, dai colori nitidi ma mai vivaci. Triste o comunque dal sapore acre, sempre. Tante le sfaccettatture della società iraniana, poche la spensieratezza, l’ironia e la serenità. Attraverso questi spaccati di vita, si colgono i paradossi di una società estremamente complessa. Storie di vita vera, paesaggi rurali, attori non professionisti. Lunghi silenzi che vengono rotti da rumori reali. Film difficili da vedere e da comprendere sia per la modalità di realizzazione che per le tematiche trattate. Film cupi, riflessivi, incisivi, non di ampio respiro.


Ma Ta'm e guilass (Il sapore della ciliegia) è un vero gioiellino. Un’interpretazione poetica e sentimentale del suicidio in una società, quella iraniana, profondamente ancorata all’islām. Delicatamente infranto un doppio tabù: nella realtà, l’islām lo considera illecito e, nella finzione, non si puó parlare molto di suicidio per non turbare la sensibilità dello spettatore. Ed è strano che un tema simile venga affrontato con assoluta discrezione ed eleganza da una pellicola iraniana del 1997. Lontana, tanto lontana anche dal suicidio come concetto interiorizzato nella società. 
Nove più.

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