giovedì 10 maggio 2012

Era il 17 ottobre 1961


Quel posto mi ha sempre affascinato più degli altri. Al perché non ho mai voluto pensarci troppo.
Credevo potesse dipendere dal bianco delle sue case, dal suo gettarsi a picco sul mare, dal verde, dall’architettura, da quell’aria di mediterraneo che difficilmente dimentichi. Ma no, non solo. La verità era connessa alla sua storia, all’autenticità della sua gente, alla “violenza” di chi dice senza mezzi termini quello che pensa, alla freddezza di una guerra portata avanti per resistere ad una colonizzazione moderna quanto imperitura.

Adesso Algeri sembra una città tranquilla. Il sole e le affollate e impervie stradine che salgono e scendono nel centro ne dominano l’atmosfera. La gente è accogliente, socievole anche se i volti dei più giovani nascondono frustrazione latente. 

Ma basta prendere un po’ di confidenza e voilà che si apre la pagina della storia, quella che non ti aspetti. Quella del “decennio di sangue” che ha visto scontrarsi, fino al 2001, islamici armati e forze di sicurezza, con un bilancio di almeno 100.000 morti e di 7.000-18.000 dispersi. L’Algeria è un gigante ferito che si sta riprendendo ma la violenza subita è ancora tutta lì, sempre pronta a far capolino. Un Paese isolato dal resto del mondo per dieci anni, senza compagnie aeree sul territorio, senza turisti, con il coprifuoco serale per lunghi periodi, il non-lavoro, la paura e l’audacia di uscire da casa senza sapere se si sarebbe tornati, il ricordo delle teste sgozzate di intellettuali e dissidenti sulle quali non era difficile inciampare rincasando nel pomeriggio, le famiglie lacerate al loro interno dalla scelta di un figlio terrorista e di suo fratello oppositore, il sangue...
Quella stessa violenza che era seguita alla guerra d’Algeria (1954- 1962) tra l'esercito francese e gli indipendentisti algerini guidati dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Lo scontro si svolse principalmente in Algeria ma, a partire dal 1958, il FLN decise di aprire un secondo fronte in Francia. E quel che accade proprio a Parigi, il 17 ottobre 1961, segna uno degli eventi più significativi e dolorosi di quella guerra. Lo scopro leggendo un fumetto in una delle mie consuete traversate dei cieli, l’ho comprato da poco nella bella Algeri, si chiama Octobre noir.
L’Algeria è una delle ultime colonie francesi, gli algerini sono discriminati e qualsiasi loro manifestazione per la rivendicazione di diritti o di indipendenza viene sistematicamente repressa nel sangue. Il prefetto di polizia di Parigi, Maurice Papon, nel 1961, avendo l'ordine di eliminare il FLN in Francia, crea un'unità speciale, la Forza di polizia ausiliaria, incaricata della repressione della resistenza algerina. Questa forza fa ampio uso della tortura e gli arresti brutali si moltiplicano.
Basta una sola goccia a far traboccare il vaso: Papon, il 5 ottobre 1961, decreta il coprifuoco a Parigi soltanto per i nordafricani. Di fatto, la civile Francia vuole provocare l’FLN per screditarlo in quanto spera di potersi ritirare dall'Algeria con onore, conservando la dominazione sul Paese.
Il FLN, dal canto suo, invita tutti gli algerini a Parigi a partecipare ad una manifestazione serale, il 17 ottobre, sfidando il divieto imposto e mostrando la valenza della resistenza popolare, nel cuore stesso della Francia, contro la colonizzazione e l'imperialismo. Deve essere una protesta pacifica, con il divieto di essere armati e l'invito di portare la famiglia. Gli algerini sostengono in massa l'iniziativa: circa 30.000 persone partecipano alla manifestazione. In men che non si dica, la polizia attacca i manifestanti, piovono colpi di manganello e le forze dell'ordine sparano in mezzo alla folla: violenza, tanta violenza. 
I dati ufficiali non sono mai veramente esistiti; il numero degli arresti è di 11.538, i morti sono 200 e i feriti 2.300. In una sola notte. Il palazzo dello sport di Porte de Versailles, dove si sarebbe dovuto tenere un concerto di Ray Charles, viene requisito per ammassarci dentro i detenuti. Alcuni arresti, molto arbitrari, si protraggono fino a tre giorni in condizioni disumane e spesso accompagnati da percosse. Mentre la Senna, tra Asnières e Clichy restituisce, ogni giorno, un numero crescente di corpi di algerini uccisi e poi gettati nel fiume per mano della polizia. 
La solita carneficina del più forte sul più debole. E questa volta, sullo sfondo, c'è la romantica Parigi.
C’è voluto del tempo prima che l’Algeria si rialzasse dalle ferite infertele dalla "civile" Francia. E non se ne parla più. Del resto, non se n'è mai parlato abbastanza di quella notte. 

E adesso capisco meglio perché la mia mente preserva ancora, come indelebili, i ricordi di quel soggiorno parigino: quella MiaParigi, in realtà, altro non era che un 'mozzico' di Algeria sulla Senna, sospeso nel vuoto tra i ponti di Asnières e Clichy. E quante volte, tra quei due ponti, accompagnato da passi incerti e pensieri contorti, il mio sguardo si è perso in quelle acque un po' torbide, ignorando la portata di questa tragedia 'in piena civiltà'. In effetti, da lì la Tour Eiffel è solo un miraggio. 
Non ci sarà mai concesso di saperne di più. E, soprattutto, non sarà mai fatta giustizia.

Vive L’Algérie!

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