- Luxor, 2004 - |
Sì, dall'amore inaspettato
verso l'arabo. Ho assistito alla prima lezione del corso quasi per curiosità,
il professore ha disegnato alla lavagna l'alif che è la prima lettera
dell'abjad, l'alfabeto arabo, e nel disegno mi si è aperto un mondo. Ogni
lettera che disegnava apriva nella mia mente un universo nuovo e inesplorato. E
così l'arabo è diventata la mia passione, il passatempo della mia vita e il mio
lavoro. E' entrato nella mia mente, negli atteggiamenti, nei movimenti, ha
trasformato il mio italiano, arricchendolo di significati, di parole, sfumature,
mi ha avvicinato alla poesia e alle differenti scale musicali. Per me ora la
lingua araba è naturale: penso in arabo, sogno in arabo.
Che studi hai
seguito dopo questa scoperta?
Studi comparatistici
all'Orientale di Napoli. Un corso di laurea che permetteva di studiare in
parallelo due lingue, nel mio caso arabo e inglese, e letterature quadriennali
alle quali ho aggiunto poi lingua e letteratura urdu, l'idioma parlato in
Pakistan. Il corso di studi comprendeva anche esami di filologia, storia, studi
etnologici, geografici e politici. Nel 2005, una settimana dopo la laurea,
grazie a una borsa di studio per l'approfondimento linguistico, sono partito
per la Siria. La borsa copriva tre mesi, poi ho trovato un lavoro a Damasco in
una multinazionale del turismo. Praticavo la lingua e inconsapevolmente mi
costruivo il lavoro del futuro.
Di cosa ti
occupavi?
Il proprietario ha intuito
che adoravo viaggiare e immediatamente mi ha spedito ad esplorare tutti gli
uffici della società: Giordania, Libano, Libia, Yemen e Oman. In pratica dovevo
creare percorsi alternativi, conoscere gli hotel, creare pacchetti e soluzioni:
stavo diventando un business developer e non lo sapevo. Ero sempre in viaggio e
ne approfittavo per studiare i dialetti locali, un'esperienza così bella che mi
sentivo in colpa ad essere pagato!
Dal punto di
vista dell'integrazione?
Problemi, shock culturale,
pregiudizi? L'integrazione non è mai stata un problema per me, mi sono sempre
sentito a casa. In Libia addirittura avevo quotidiani déjà vu. Appena arrivato
a Tripoli, sono rimasto un'ora solo ad ammirare il mare e tutto mi sembrava
così familiare: il dialetto, la gente, le strade... L'arabo libico è infarcito
di parole e costruzioni italiane. Alla fine mi sento più expat quando sono in
Italia.
Quindi vivere in
un Paese musulmano non è difficile come si potrebbe pensare?
No. Almeno non per me. Non
mi sono mai sentito in difficoltà. Forse il mio essere esterofilo mi ha
aiutato, ma ho sempre vissuto tutto con emozione, con volontà di apprendimento ed
adattamento. Per me la cultura araba ha rappresentato più un'aggiunta, qualcosa
che mi ha arricchito e ha aperto diversi orizzonti. Qualche grado in più nella
rotazione della testa.
Come italiano,
qualche vantaggio o svantaggio particolare?
Per la verità io venivo
sempre scambiato per siriano o per libanese, però l'Italia, o meglio l'immagine
dell'Italia, è sempre stata un sogno. Avevo tantissimi amici che studiavano
italiano solo per amore linguistico o per poterla visitare un giorno e a
Damasco aprivano boutiques italiane, i ragazzi indossavano le divise della
nazionale azzurra o delle squadre italiane di calcio. Un anno Bab Tuma, il
quartiere cristiano, venne chiamata Bab Roma per quanti italiani c'erano e
tutti nel suq parlavano la nostra lingua.
Saresti rimasto
in Siria, se avessi potuto?
Decisamente e tornerei
domani se me lo chiedessero. Mi vengono i brividi a pensare oggi alla Siria e
ai quartieri di Damasco. Nella mia mente e nella mia anima conservo gli odori
di ogni singola spezia, i sapori, i visi, gli scorci e so che non potrò più
farli miei.
E invece, nel
2009 sei andato via.
Sì, ma inizialmente è
stata una scelta lavorativa. Dovevo essere il punto di riferimento per l'Italia
della società per cui lavoravo. Facevo la spola tra Italia e Medio Oriente e
rientravo in Siria almeno una volta al mese. La tua casa dov'era? Quella che
sentivi come casa. Ogni Paese che mi ospita lo sento come casa. Ma Damasco mi
accoglieva, mi coccolava; così come Beirut. Forse solo Amman la sentivo più
ostile, perché meno pura, nel senso di meno araba.
E poi cosa è
successo?
La situazione politica in
Siria, così come in Libia, è peggiorata. Il Paese che conoscevo non esisteva
più. Allora ho lasciato tutto e mi sono licenziato e immediatamente mi è stata
offerta la possibilità di trasferirmi a Dubai per lavorare per una compagnia
che si occupa di incoming. L'idea degli Emirati arabi non mi è mai piaciuta
tanto, li ho sempre visti come un parco di divertimenti che poco combaciava con la mia idea di Paese arabo, ma ho accettato.
Non hai preso in
considerazione la possibilità di tornare in Italia?
No. Lì vedo tutto
difficile, non saprei proprio cosa fare, come propormi. Immagino solo gli
ostacoli che mi si presenterebbero per una qualsiasi iniziativa, mentre qui è
facilissimo contattare chiunque, muoversi, creare. L'Italia fa di tutto per
fare allontanare i suoi cittadini e alla fine tutti noi cerchiamo l'Italia
all'estero. Non sai quanto mi amareggia pensare che il nostro Paese potrebbe
vivere di solo turismo, potrebbe essere il nostro petrolio. Abbiamo mare,
montagne, laghi, fiumi, ma nessuno fa nulla. L'Italia è sinonimo di cibo, moda,
musica, ma sta diventando il contrario di se stessa: uno stivale vecchio, da
buttare.
C'è qualcosa che
davvero ti manca dell'Italia?
La mia famiglia,
passeggiare tra il mare e la città, la colazione al mattino nei bar del centro,
le cene nelle taverne, la bellezza dei nostri paesaggi e dei nostri paesini. Ma
non mi manca la gente: gli italiani la stanno distruggendo, viviamo dei ricordi
di un Paese che non è più.
Ti trovi bene a
Dubai?
Diciamo di sì. E' un Paese
sicuro, si lavora tanto, trovi di tutto. Però mi manca passeggiare in ambienti
naturali, vedere chiese e castelli. Non credo che resterò qui a lungo.
Quale sarà la
prossima tappa?
Medito. Sudafrica, Costa
Rica, Lussemburgo. O magari New York o San Francisco.
E l'arabo?
Sono profondamente deluso
dagli arabi. In questi due anni di primavere, che poi sono aspri inverni e
crudeli autunni, ho visto un popolo incapace. Stanno nascendo tanti estremismi,
non vedo più la voglia di cultura e la genuinità della cultura araba.
Un amore finito?
Forse. O forse solo voglia
di aggiungere qualche altro grado alla mia visuale.
Tornerai in
Italia?
Ci penso spesso. Mi
piacerebbe rappresentare il mio Paese, far conoscere a chi visita l'Italia,
fare qualcosa di mio a modo mio. In fondo sono otto anni che promuovo altri
Paesi.
A volte in amore
bisogna saper fare anche il primo passo.
Se la persona amata è
ancora viva.
Ecco l'intervista completa:
ممتاز
RispondiElimina