lunedì 27 giugno 2011

Kélibia, il paradosso che non rende giustizia

Kélibia con cammelli, bianco e nero

Kélibia, nord-est della Tunisia, punta del Cap Bon.
Kélibia dalle splendide acque dista solo 73 Km (di mare) da Pantelleria e 106 Km da Tunisi, la capitale. Fa ridere, lo so.
Fa ancora più ridere sapere che oggi, a Kélibia, Walid non è riuscito a sentire la radiocronaca del derby delle due più importanti squadre di calcio di Tunisi, Espérance- Club Africain, perché la radio si sintonizzava soltanto su canali italiani. Dal canto mio, come una bambina ingenua, cantavo gioiosamente un vecchio pezzo di Max Pezzali tra le strade deserte e desertiche che mi riportavano a Tunisi. Quella canzone non l’avrei mai cantata in Italia ma lì ero a Kélibia, in una piccola Italia di Tunisia.
Il punto però è un altro. Se io, da italiana, mi sono sentita a casa ascoltando la radio italiana in Tunisia, come deve sentirsi un tunisino nato a Kélibia, cresciuto a pesce e Radio Deejay, che vede a occhio nudo Pantelleria e che sa che è più distante, teoricamente, la capitale del suo Paese (Tunisi) che l’Italia (Paese straniero)?



venerdì 24 giugno 2011

Ti sto cercando





Forse Alì Yassin l’ho incontrato in un altro viaggio e non lo so nemmeno.
Alì Yassin, un bel nome!

Alì Yassin, dall’alto dei suoi quindici anni, ha sentito dire che d’estate nelle piantagioni di pomodori si guadagnano molti soldi perciò vorrebbe raggiungere la campagne pugliesi…anche per questo sale su un barcone. Prima di mettersi a lavorare, però, vuole trovare suo padre che non vede da anni e fa il bracciante in Puglia. Alì Yassin è marocchino ed è partito dalla Libia. La sua è la storia di tante vite, quelle di coloro che hanno avuto la sua stessa sorte.

Finalmente una graphic novel sul fenomento della migrazione clandestina. Ti sto cercando, io mi faccio trovare e poi la leggo…


giovedì 23 giugno 2011

In Case of Loss- Dalla Libia al Bangladesh


L’inconfondibile elefantino giallo fornisce un indizio quasi inequivocabile sulla destinazione del bagaglio. Non è l'India però. Esatto, Bangladesh. Da dove? Libia.

Da febbraio, sono circa 40mila i bengalesi rimpatriati dal confine con la Tunisia. Come negli Emirati, erano in Libia per lavorare e mantenere le famiglie rimaste in patria. La maggior parte di loro era impiegata in aziende di costruzione cinesi, sudcoreane, europee o libiche. Guadagnavano in media 150 dollari al mese e spesso, prima di ricevere uno stipendio, dovevano lavorare gratis per alcuni mesi.
Francesco Giusti ha realizzato un reportage con il loro unico bagaglio corredato da foto. In case of loss, appunto.

domenica 19 giugno 2011

Edda


 
Edda l'avevo già vista una volta spulciando su youtube. Era stata invitata ad Anno Zero per parlare di migrazione. E mi era piaciuta. Sarà stato il suo aspetto, la sua dialettica, la sua determinazione. Però mi era piaciuta. Aveva l'aria di una piccola peruviana con il sangue che bolle. Si vedeva. Ecco perché mi era piaciuta.
E quando ieri l'ho risentita parlare stavano per scendermi le lacrime. La sua forza e quella delle sue parole hanno superato il mare e sono arrivate fino a me. Finalmente la forza di un'immigrata che dà lezioni a noi italiani. Ne abbiamo proprio bisogno e mi lusinga che sia lei a parlare per me. 

domenica 12 giugno 2011

Un altro giorno è andato

Tata Hedia ce l’ha fatta. Almeno per quel che riguarda la prima tappa. Se glielo chiedessi, sono certa che mi direbbe che per lei è stata parecchio dura. E parecchio lo è stata anche per me. Perchè la prima volta che hai a che fare con i servizi pubblici in un Paese che non è il tuo, prevalgono la curiosità e l’osservazione. La seconda, lo studio e l’analisi. La terza, sai già quasi tutto e ti muovi con disinvoltura nei suoi incomprensibili meandri. La quarta volta prendi atto di quella che è, come mi disse Yosra, la vrai misère della sanità pubblica tunisina.

venerdì 3 giugno 2011

Ta'm e guilass


‘Cara, io ho volato, vieni.
Sono caduto nel giardino dell’amico, vieni.
Fratello dei giorni felici. Solo in una giornata nera, vieni.
Ora io sono un estraneo e tu pure un estraneo. Se vai ti saró amico e, se resti, ti saró amico lo stesso. In ogni caso io ti sono amico. Se rimani ti sono amico e se vai ti sono amico. Ti sono amico.’

Adoro il cinema iraniano. Da anni ormai. Lento, quasi neorealistico, da un punto di vista tecnico e formale molto povero e privo di elementi innovatori. Di poche parole, con una fotografia netta, decisa, dai colori nitidi ma mai vivaci. Triste o comunque dal sapore acre, sempre. Tante le sfaccettatture della società iraniana, poche la spensieratezza, l’ironia e la serenità. Attraverso questi spaccati di vita, si colgono i paradossi di una società estremamente complessa. Storie di vita vera, paesaggi rurali, attori non professionisti. Lunghi silenzi che vengono rotti da rumori reali. Film difficili da vedere e da comprendere sia per la modalità di realizzazione che per le tematiche trattate. Film cupi, riflessivi, incisivi, non di ampio respiro.