Tata Hedia ce l’ha fatta. Almeno per quel che riguarda la prima tappa. Se glielo chiedessi, sono certa che mi direbbe che per lei è stata parecchio dura. E parecchio lo è stata anche per me. Perchè la prima volta che hai a che fare con i servizi pubblici in un Paese che non è il tuo, prevalgono la curiosità e l’osservazione. La seconda, lo studio e l’analisi. La terza, sai già quasi tutto e ti muovi con disinvoltura nei suoi incomprensibili meandri. La quarta volta prendi atto di quella che è, come mi disse Yosra, la vrai misère della sanità pubblica tunisina.
E così, Tata Hedia si è alzata alle sei di mattina e, a digiuno, ha cominciato la sua lunga, lenta ed estenuante giornata. É entrata in sala operatoria verso le 14 e intorno alle 17 era già a casa, intontita ma nel caldo del suo letto e tra le braccia della sua famiglia.
Ancora una volta ha incontrato tanti impiegati, ha fatto la spola tra i consueti Mr. Wahid della radiologia e Mr. Mohammed del terzo piano. Ha avuto a che fare, di nuovo, con un macchinario rotto ma necessario per l’operazione. Peró questa volta è stata fortunata perchè l’omino addetto alla manutenzione non era in ferie e Tata Hedia ha potuto fare la radiografia necessaria all’operazione. Prima di essere operata, è salita e scesa dal primo al terzo piano ancora una decina di volte. Tutto bene, almeno per adesso che aspetta il risultato.
Ancora una volta ha incontrato tanti impiegati, ha fatto la spola tra i consueti Mr. Wahid della radiologia e Mr. Mohammed del terzo piano. Ha avuto a che fare, di nuovo, con un macchinario rotto ma necessario per l’operazione. Peró questa volta è stata fortunata perchè l’omino addetto alla manutenzione non era in ferie e Tata Hedia ha potuto fare la radiografia necessaria all’operazione. Prima di essere operata, è salita e scesa dal primo al terzo piano ancora una decina di volte. Tutto bene, almeno per adesso che aspetta il risultato.
Forse io e Tata Hedia abbiamo visto le stesse cose ma lei era troppo presa dall’intervento per soffermarcisi. Io ho visto di nuovo le stesse facce rassegnate delle donne dimesse e in maggioranza velate che ogni mattina aspettano compostamente che arrivi il loro turno. Sono tante, sono anziane, vengono da ogni parte della Tunisia, soprattutto dai villaggi rurali e non sono abituate a far valere i loro diritti imponendosi. E allora aspettano, se sapessero chi è Godot, forse aspetterebbero proprio lui. Ho scoperto che mentre le stesse donne aspettano con ansia, proprio accanto a loro, alla reception, ogni tanto passa una barella con un corpo coperto, un morto insomma, che come è noto rassicura sempre parecchio l’anima di un malato. Intontita dalla scena guardo ‘Am Yusuf il quale mi sorride e dice On ne meurt qu'une fois, si muore una volta sola, che per lui che è musulmano praticante è la cosa più normale del mondo.
Nel padiglione dei tumori, la situazione non è delle più rassicuranti. Yosra mi spiega che quasi tutte le persone che muoiono hanno i piedi gonfi, les chaussures du voyage, come le chiamano loro, e a me che non ho mai visto un morto la cosa sembra pure un po' buffa.
Aspettiamo Tata Hedia seduti sulle scale, di sedie non ce ne sono vicino alla sala operatoria. E per un pelo ci risparmiamo un bagno fresco di candeggina da parte della donna delle pulizie che, lavando le scale, non sembra essere troppo premurosa.
Aspettiamo Tata Hedia seduti sulle scale, di sedie non ce ne sono vicino alla sala operatoria. E per un pelo ci risparmiamo un bagno fresco di candeggina da parte della donna delle pulizie che, lavando le scale, non sembra essere troppo premurosa.
Nel reparto, accanto a Tata Hedia c’è una ragazza con la quale comincio a parlare. Una ragazza del sud, semplice. Non so quale sia il suo nome però ha ventidue anni, due bimbi ed è già vedova. Il marito, pescatore di Zarzis, è morto annegato in mare eppure non stava andando in Italia, stava solo cercando un modo onesto per tirare a campare la sua famiglia. Lei adesso è sola, prima che scoppiasse la guerra in Libia andava al confine per vendere oggetti tunisini senza pretese. Adesso non sa come andrà avanti. Cerco di aiutarla a mangiare dato che dopo l’anestesia generale in reparto non ti portano niente da mangiare nè ti aiutano a farlo. Tra una parola e l'altra, intravedo ‘Am Yusuf che, di nascosto, per assicurare un trattamento 'decente' alla moglie, infila banconote di piccolo taglio nelle tasche dei vari medici, infermieri e portantini che gli si parano davanti. E così Tata Hedia guadagna una puntura di antodolorifico. La piccola ventiduenne no, non ha fatto nulla per meritarlo. Non basta essere malati per ricevere dei trattamenti 'decenti'. E già, è questa la sanità pubblica di un Paese in mano ai privati.
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