Di
Gaza, come di tutti i luoghi senza giustizia, se ne potrebbe parlare a lungo.
Come si sa, Gaza è un luogo-non luogo, un posto dal quale non si può né entrare
né uscire liberamente, non trattandosi di uno Stato comunemente inteso, è così che ha deciso Israele con il silenzio assenso di tutta la comunità internazionale.
Dal marasma di sensazioni, riflessioni, immagini che mi assalgono, sono due gli
aspetti che prevalgono sugli altri.
Il primo è l'assoluta frammentarietà di questo lembo di terra che nel nostro immaginario è un blocco compatto: la Striscia di Gaza. E invece benché la dimensione irrisoria (da non confondersi con popolosità) che fa sì che per percorrere la Striscia da Gaza city, al confine con Israele, fino a Rafah, verso l'Egitto, ci si impieghi, a occhio e croce, poco più di un'ora di macchina, questo apparente micro lembo di terra nasconde una diversità/varietà/complessità sociale difficile da immaginare. Gaza city è a nord della Striscia, la mattina intorno al piccolo porto si radunano i pescatori con il bottino della notte e la vita "sembra scorrere tranquilla", alle prese con quel che impone la quotidianità del momento storico, tregua o non tregua da parte di Israele. Se non fosse per le bandiere verdi di Hamas, per le numerosissime scritte sui muri che inneggiano, appunto, al partito e per le foto dei martiri appese quasi ad ogni palo della luce, Gaza city potrebbe sembrare una città araba come tante altre; per certi aspetti pure all'avanguardia dato che anche le donne, tutte rigorosamente velate, da qualche tempo possono fumare il narghilè in pubblico, agli occhi degli uomini tangibile segno di emancipazione che ancora faticano a digerire...a Gaza mi manca il caffè...
Il primo è l'assoluta frammentarietà di questo lembo di terra che nel nostro immaginario è un blocco compatto: la Striscia di Gaza. E invece benché la dimensione irrisoria (da non confondersi con popolosità) che fa sì che per percorrere la Striscia da Gaza city, al confine con Israele, fino a Rafah, verso l'Egitto, ci si impieghi, a occhio e croce, poco più di un'ora di macchina, questo apparente micro lembo di terra nasconde una diversità/varietà/complessità sociale difficile da immaginare. Gaza city è a nord della Striscia, la mattina intorno al piccolo porto si radunano i pescatori con il bottino della notte e la vita "sembra scorrere tranquilla", alle prese con quel che impone la quotidianità del momento storico, tregua o non tregua da parte di Israele. Se non fosse per le bandiere verdi di Hamas, per le numerosissime scritte sui muri che inneggiano, appunto, al partito e per le foto dei martiri appese quasi ad ogni palo della luce, Gaza city potrebbe sembrare una città araba come tante altre; per certi aspetti pure all'avanguardia dato che anche le donne, tutte rigorosamente velate, da qualche tempo possono fumare il narghilè in pubblico, agli occhi degli uomini tangibile segno di emancipazione che ancora faticano a digerire...a Gaza mi manca il caffè...
Man
mano che si scende verso Khan Yunis fino alla frontiera con l'Egitto invece, il
panorama cambia...aumenta vorticosamente il numero delle bandiere verdi di
Hamas così come quello delle foto dei martiri, la maggior parte dei quali
giovani, se non troppo giovani. Ed è proprio negli agglomerati di case tra Khan
Yunis e Rafah che vengo inevitabilmente attratta da un altro aspetto: la donna
nelle aree più remote di Gaza. Quella che non è nemmeno mai andata a Gaza city,
ad una mezz'ora di macchina da casa sua. Quella che indossa un inequivocabile
burqa nero che lascia trasparire molto poco della sua persona, solo il colore
intenso, triste e intriso di rabbia dei suoi occhi. Quella donna che è la
stessa dell'Afghanistan e di tanti luoghi del mondo dimenticati. Quella donna
che subisce ogni giorno ogni forma di violenza, dal padre, dai fratelli, dal
marito, dalla società. E allora va a finire che il burqa lo indossa "per
tradizione", per religione, perché è così. E da quando Israele ha posto
fine ad ogni contatto "costruttivo" con la Striscia, i suoi fratelli
non lavorano più, così come suo padre, in famiglia non c'è alcuna fonte di
reddito e nessuno vuole darla in sposa perché a causa sua dovrebbero dissipare
parte dell'eredità. E allora non può sposarsi adesso e lo farà tra qualche
anno, con un uomo molto più grande di lei di cui, sicuramente, non sarà nemmeno
la prima moglie. Oppure se si sposa adesso (in media a quindici anni) e se non
è con suo cugino in modo tale da non dissipare l'eredità, magari arriva a
venticinque anni e capisce che quello tra lei e suo marito non è affatto amore, allora decide di divorziare e di tornare a casa di suo padre. Che però non la
rivuole indietro come pure sua madre perché, economicamente, non sanno come
badare pure a lei...ed è così che si ritrova a subire una quotidianità che non
ha scelto, non può scegliere e dalla quale non può scappare dato che è anche
mamma di cinque, sei, dieci figli. E tu sei lì che incredula la osservi e le
porgi delle domande spesso idiote per "raggiungerla al di là del
burqa" e capire chi è; mille pensieri ti frullano in testa, ti senti fuori
luogo e fuori tempo, sei incapace di capire fino in fondo, lontana, molto
lontana da quegli occhi neri e da quella voce energica che ti parla da dietro
al burqa. E sorridendo, ricambi le sue parole gentili e superi quelle numerose
barriere che vi separano ma senti un vuoto, un fardello pesante da sopportare,
un senso d'ingiustizia che ti indebolisce. Lo stesso che ti fa camminare per quel
lungo km dentro quella gabbia (il km di recinzione che si deve percorrere per
uscire dalla Striscia ed entrare in Israele), contando i passi che ti separano da quell'orribile
muraglia di cemento che divide la Striscia dallo Stato d'Israele, con la dura
consapevolezza che tutto questo è arbitrario, non naturale, che per l'ennesima
volta l'uomo si arroga dei diritti che non ha e che non sono dettati dagli
schemi di nessun Dio, checché te ne dicano; e che nessuna occupazione
considererà mai l'umanità che si cela dietro quelle case, che nessuno farà mai
qualcosa per quegli uomini e quelle donne, a parte bombardare quando lo si
riterrà opportuno o fomentare un disumano embargo di cibo e materiale...mentre ti ronza in
testa quella sorniona e poco cruda frase di Fedro "che quando i potenti
litigano, ai poveri toccano solo dei guai"...
Trovo bellissimo il tuo commento
RispondiEliminastefania dalla Colombia